Sono nata il 22 a primavera.

Marzo. L’equinozio di primavera, “il riso del disgelo”, il sole brilla caldo e il vento soffia freddo, “i giardini si vestono di nuovi colori”, l’esigenza impellente di rinascita dopo il lungo inverno accompagnata dal profumo inebriante delle fresie, irride l’instabilità del cielo che scandisce le giornate. I tempi per viaggiare ad altre velocità sono ormai maturi, è arrivato il momento di desiderare un’altra estate come non mai.

Marzo. “Riempi il bicchiere, e con l’inverno butta via la penitenza vana “, così cantava Guccini nella sua canzone dei dodici mesi. Giovane donna bruna e dai capelli ricci, cosa hai provato quando è arrivato il momento di lasciarti alla spalle la tua “penitenza vana” dopo nove mesi di simbiosi? Avrai pianto lacrime di dispiacere misto a sollievo forse con la speranza di poter ancora aspirare ad un futuro più indulgente rispetto al tuo presente?  A cosa avrai pensato in quegli interminabili attimi, a quale appiglio ti sarai disperatamente aggrappata con tutte le tue forze per non correre il rischio di cadere nella trappola dell’ansia volgare dell’attimo appena dopo la separazione? Da qualche parte ho letto che il primo e lungo dolore è separarsi, è un dolore condiviso. Nascere è un dolore condiviso, così come la conseguente separazione è il dolore simultaneo e indispensabile, della matrice che espelle e dell’individuo che viene espulso. Pare che questo faccia parte dell’ordine naturale delle cose, scindersi dalla propria matrice e poi vivere, soli come non siamo mai stati.

Marzo. Sono nata il 22 a primavera. Giovane donna dagli occhi scuri e dal taglio a mandorla, quale delle tante vite possibili hai immaginato per me? Oppure il desiderio dell’oblio ha preso sin da subito il sopravvento, come una specie di buco nero che non lascia scampo e risucchia via tutto quello che è stato o non è stato, senza la possibilità di tornare indietro?  Quanta fatica occorre per custodire il segreto di un’origine per tutto questo tempo? E dimmi ancora, come ti inganni quando il filtro della memoria si inceppa e i vecchi dolori ancestrali ripresentano vigliaccamente il loro conto? E quando avrò i tuoi anni?

Marzo. ” Con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia, ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria” cantava Faber . Com’è difficile trovare il fondo di questa storia. Com’è arduo riuscire nell’impresa di ricucire lo strappo emotivo che mi accompagna da che ho memoria. Intanto mi concedo una tregua dal riscatto della mia “ferita segreta”, metto l’inverno dentro un cassetto e lo chiudo a chiave. Fuori piove, ma il forte vento di tramontana mi regala l’illusione di portare tutto via con sé, compresi i miei pensieri sparsi. Chiudo gli occhi, metto le cuffiette e parte “Summer on a solitary beach”  del maestro Battiato, anche se nel cielo c’è qualche nuvola di troppo, nell’aria c’è odore di cinema all’aperto e di vecchi ricordi felici. Forse l’estate è destinata ad arrivare inaspettatamente prima del previsto.