“La camera azzurra”: Georges Simenon

A Georges Simenon devo forse uno dei più cari ricordi della mia infanzia. Le mie lunghe e spensierate estati erano spesso scandite dalle pomeridiane maratone tv del “Commissario Maigret” che guardavo in compagnia della mia mamma da sempre appassionata del genere giallo- poliziesco. Maigret è una delle più famose creature letterarie di Simenon, protagonista di ben settantacinque romanzi e ventotto racconti di genere poliziesco rappresentati in numerose produzioni cinematografiche, radiofoniche e televisive. Eppure, sino a qualche mese fa, nonostante il legame affettivo che mi lega a questo celeberrimo personaggio, non avevo mai avuto l’occasione di approfondire la conoscenza di questo autore. Così quando in una delle mie scorribande al mercatino vintage, tra montagne di libri di ogni genere accatastati sulle bancarelle dell’usato, per caso mi è caduto l’occhio sulla copertina celeste ceruleo della “Camera azzurra”, ho avvertito quasi il sacrosanto dovere di sopperire a questa mia mancanza.

Sin da subito ho intuito come “la Camera azzurra” non sia il classico giallo, non c’è Maigret e non c’è al centro del racconto un investigatore a condurre le indagini, ed anzi potremmo quasi definirlo un “giallo al contrario”, in cui attraverso gli interminabili interrogatori in commissariato, sono svelati pian piano presunti colpevoli, vittime e moventi. Più in generale sarebbe tuttavia inappropriato considerarlo semplicemente un giallo, perché lo scopo principale dell’autore è forse quello di accompagnarci in un tortuoso viaggio alla scoperta di tutte le sfaccettature della vita di provincia con le sue ipocrisie, della nostalgica insoddisfazione della vita coniugale, della passione di una relazione extraconiugale e delle sue estreme conseguenze. Simenon, con un linguaggio sobrio ma incalzante, ci svela un mondo cupo, in cui siamo preda di un destino ineluttabile.

Tony Falcone è un piccolo imprenditore di origine italiana che vive in un paesino della Francia con sua moglie e sua figlia. La sua è una quotidianità che non fa notizia, un’esistenza abbastanza anonima che probabilmente lo annoia. A sconvolgere questa ordinaria infelicità piccolo borghese, nella vita del protagonista, arriva Andrée, con cui vive una passione travolgente per undici mesi. Il dramma vero e proprio inizia in un caldo 2 di agosto, quando, dopo uno dei loro voraci incontri nella “camera azzurra”, quella dell’hotel di proprietà del fratello di Tony, la donna gli chiede se gli piacerebbe passare il resto della sua vita con lei e cosa sarebbe disposto a fare per realizzare la folle idea. Domande che apparentemente sembrano innocue, perché le parole contano poco in certi momenti e in altri sembrano acquisire il valore di salvezza o di condanna.

“Le parole contavano poco. Parlavano così, per il puro piacere di parlare, come succede dopo l’amore, quando il corpo è ancora eccitato e la testa un po’ vuota.”

Le parole sembrano essere invece un punto di frattura da cui si dipana una vicenda torbida con un delitto che Simenon costruisce in maniera magistrale come un vero e proprio interrogatorio che scandaglia più che la verità dei fatti, quella dell’animo e delle intenzioni dei due protagonisti, sino ad ammettere che un’omissione talvolta è più potente di una bugia. La camera azzurra è un luogo fuori dal tempo in cui non è necessario dare definizioni, dove ci si perde nel puro piacere di seguire i propri istinti e attraverso cui tutto quello che “fuori” serve per vivere, riesce a bastare. Ma in realtà le parole contano poco solo per uno dei due e l’ossessione dell’altro porterà all’irruzione della vita quotidiana nella camera azzurra. Simenon ritaglia le scene, le circoscrive, le tace. Tuttavia la narrazione è circolare e si ritorna sempre a quel giorno, nella camera azzurra. E’ come se lo zoom si allargasse sempre di più fino ad un finale estremo, dove i sentimenti come l’odio e l’amore si toccano fino a confondersi.

” “Ti ho fatto male?”.
” No “.
“Ce l’hai con me?”.
” No “.
Era vero. In quel momento tutto era vero, perché viveva ogni cosa così come veniva, senza chiedersi niente, senza cercare di capire, senza neppure sospettare che un giorno ci sarebbe stato qualcosa da capire.”