In “Splendi come vita”, Maria Grazia Calandrone narra in prima persona il suo rapporto con la madre adottiva, l’unica figura materna da lei conosciuta, visto che la madre naturale si è suicidata dopo averla abbandonata all’età di 8 mesi a Villa Borghese.
Sin da subito ho avuto quasi la sensazione di trovarmi davanti a una sorta di “album dei ricordi”, con tanto di fotografie ingiallite e di articoli di giornale a testimoniare una storia familiare difficile, piena d’amore e di sofferenza.
Sin da subito ho avuto quasi la sensazione di trovarmi davanti a una sorta di “album dei ricordi”, con tanto di fotografie ingiallite e di articoli di giornale a testimoniare una storia familiare difficile, piena d’amore e di sofferenza.
Il romanzo di Maria Grazia Calandrone è la prova di come l’esperienza privata possa e debba diventare Poesia. Nelle sua parole, c’è una naturale sensibilità, che diventa strumento di sopravvivenza per vedere meglio la realtà visibile e invisibile.
Così, mi immagino sola in orfanotrofio, uno di quei casermoni anonimi con grandi stanze, con letti a castello e camerate comuni, puzza di disinfettante e miseria. Io che piango disperatamente, per far scappare la mia voce in cerca di calore umano, di una carezza, di tenerezza. Ma è tutto inutile. Non arriva nessuno, se non la rassegnazione al Disamore con il suo “pianto non pianto”. Perché ” i bambini non amati, non piangono. Chi chiamerebbero con il loro pianto” .
“Senza difese, torni
vita che splende.
senza difese, splendi come vita.
Vita
abbandonata.
Vita
di tutti.
Vita che torna,
a tutti.”
vita che splende.
senza difese, splendi come vita.
Vita
abbandonata.
Vita
di tutti.
Vita che torna,
a tutti.”
